Palais des Beaux-Arts de Charleroi"
Spettacolo teatrale dal titolo "RODOLFO VALENTINO, L’Emigrante Leggendario"
Rodolfo Valentino/emigrazione.
“Si dice ‘classi ponte’, ma si legge ‘classi ghetto’.
Questa é l’asserzione dell’editoriale della rivista Famiglia Cristiana contro la proposta leghista d’istituire classi d’attesa per i figli degli immigrati.
Ancor oggi in Italia esiste dunque una problematica dell’emigrazione anche se diversa da quella di qualche decennio fa o del secolo scorso.
Chi é l’emigrato? Perché si emigra? Dove si emigra?
Il soggetto, la causa e l’aspirazione, il luogo di partenza e d’arrivo, in genere, hanno conservato accezioni simili nel tempo.
Formulando una semplice frase si ottiene: un individuo che é nel bisogno per migliorare la propria situazione lascia il luogo dell’indigenza alla ricerca di un altro che gli assicuri un avvenire migliore.
Ogni individuo reagisce in maniera del tutto personale ad ogni sollecitazione o avvenimento. Anche quando deve ripiantare la propria esistenza in un contesto diverso da quello d’origine.
Anche se gli elementi sono comuni, non sempre hanno la stessa valenza. La reazione individuale può essere molto diversa. Se ciascun individuo ha una storia, anche ogni singolo emigrante ha la propria; non esiste, dunque una storia dell’emigrazione ma tante.
Chi fugge dalla miseria, dalla schiavitù o dalla guerra va all’avventura con la convinzione di trovare un mondo migliore di quello lasciato. Nel luogo d’approdo, la sofferenza é giustificata dalla speranza. Talvolta il bisogno più elementare, che é quello della sopravvivenza, fa soprassedere su altri altrettanto fondamentali, purtroppo, talora, anche su quello della dignità. Avvoltoi approfittano del bisogno della gente schiavizzandola.
La recessione economica mondiale che imperversa in questo momento colpirà tutte le classi sociali; sicuramente inciderà moltissimo su quelle più deboli e potrebbe risultare drammatica per gli immigrati. Per quest’ultimi non inciderà soltanto sulla loro qualità di vita ma potrebbe determinare l’espulsione se non rientra nei parametri per il mantenimento del permesso di soggiorno. Inoltre se ad ogni evento poco favorevole si deve ricercare la causa e dare la colpa a qualcuno, l’emigrante diviene il parafulmine d’ogni intemperie, il capro espiatorio, l’agnello sacrificale.
Si parte con lo scopo di diventare qualcuno ma spesso non si é nessuno né nel paese d’origine né in quello d’accoglienza. Questo é dovuto al fatto di “Tenere il piede in due scarpe (il piede in due staffe) Être assi entre deux chaises”; comportarsi in modo dubbioso, cercando di mantenere aperte due strade, non scegliere in modo deciso. Il desiderio che spinge a vivere contemporaneamente in due mondi spesso non consente di vivere in alcuno dei due.
Potrebbe accadere che si diventa qualcuno nel paese d’accoglienza ed essere nessuno nel paese d’origine (essere talvolta un estraneo, un indesiderato).
In questo caso calza bene l’espressione latina: “Nemo propheta in patria (sua)”; usata ancor oggi per definire la sorte di coloro che vedono il proprio operato non apprezzato da chi sta più vicino: familiari, colleghi, amici.
Per l’emigrato, comune, é più attinente l’analogia con una moneta.
Riflessione da me fatta a p.134 di «Sbirciarsi Dentro » che cercherò di riassumere brevemente.
Un individuo lasciando la propria terra é un emigrato. Diventa un immigrato non appena mette i piedi nel Paese d’accoglienza. La stessa persona assume due aspetti diversi e, a secondo da quale lato viene guardato, può essere un emigrato o un immigrato.
Quest’individuo, nella sua duplicità, potrebbe essere comparato ad una moneta.
Questa presenta due facce diverse pur avendo un unico valore anche quando viene rivalutata o svalutata.
Anche il soggetto immigrato/emigrato ha un unico valore intrinseco.
Tra moneta ed individuo c’é un’evidente differenza: alla prima viene riconosciuto lo stesso valore, indipendentemente dalla faccia (testa o croce) presentata; il secondo esprime un valore diverso a secondo se viene considerato l'aspetto di emigrato o d’immigrato.
L'emigrato/immigrato ha un’evoluzione opposta ossia i due aspetti sono inversamente proporzionali: quando uno si rivaluta l'altro tende a svalutarsi.
L'immigrato inizialmente é una sagoma sprovvista di particolari connotati; potremmo immaginarlo come una persona vista di spalle. L'emigrato ha copiosi tratti somatici.
Col trascorrere del tempo i due aspetti vengono a modificarsi. Con la sua presenza, marca sempre più il piccolo mondo in cui vive ma pian piano la sua figura sbiadisce nel mondo in cui viveva.
L’emigrato é il passato mentre l’immigrato é il presente.
Ritornando all’asserzione di Famiglia Cristiana
“Si dice ‘classi ponte’, ma si legge ‘classi ghetto’,
si entra nella problematica delle Seconde generazioni d’emigrazione.
Anche su questo argomento ho fatto alcune riflessioni in «Sbirciarsi Dentro». Riassumerò quella relativa all’acculturazione subito dopo aver riportato alcune testimonianze dell’attualità.
Classi separate per alunni stranieri.
La proposta delle Lega Nord votata a maggioranza dalla Camera impegna il governo, fra l’altro, «a rivedere il sistema d’accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, previo superamento di test e specifiche prove di valutazione. Gli studenti stranieri che non superano le prove e i test sopra menzionati saranno obbligati a frequentare “classi-ponte” , dove vengono impartiti corsi di lingua italiana, propedeutiche all’ingresso degli studenti stranieri nelle classi permanenti; a non consentire in ogni caso ingressi nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, al fine di un razionale e agevole inserimento degli studenti stranieri nelle nostre scuole».
Per il capogruppo della Lega alla Camera, Roberto Cota la sua proposta va incontro ai bisogni dei bambini stranieri appena arrivati in Italia. Essa deve essere interpretata come “discriminazione transitoria positiva” che ha come obiettivo dichiarato la “riduzione dei rischi di esclusione”. Questo perché, ha spiegato Cota, se i ragazzi stranieri vengono inseriti in classe “per mere ragioni di età e non sulla base della preparazione”, c’è la possibilità “di rallentamenti e difficoltà per gli altri alunni”. Per questo, il Carroccio propone di far iscrivere ai vari livelli della scuola dell’obbligo solo chi supera una prova d’ammissione. Altrimenti, c’è una classe “ponte” in cui seguire, oltre ai corsi di lingua, lezioni mirate “all’educazione alla legalità e alla cittadinanza; al sostegno alla vita democratica; al rispetto delle tradizioni territoriali e regionali e della diversità morale e la cultura religiosa del paese accogliente”.
Per Famiglia Cristiana la discriminazione di cui faceva cenno l’autore dell’emendamento é semplicemente una discriminazione anzi “il primo provvedimento razziale del Parlamento”. Ovvero: l’istituzione di “classi-ghetto” che fanno scivolare “pericolosamente la scuola verso la segregazione e la discriminazione (...) Il problema dell’inserimento degli stranieri a scuola è reale, ma le risposte sono ‘criptorazziste’, non d’integrazione”. Si danno “risposte sbagliate a problemi reali d’inserimento”, dichiara famiglia cristiana e “la questione dell’italiano è solo una scusa: tutti sanno”, si legge nell’editoriale, “che le cosiddette ‘classi d’inserimento’ non sono efficaci. I risultati migliori si ottengono con classi ordinarie e con ore settimanali di insegnamento della lingua”.
La mia riflessione in materia d’acculturazione fatta a pag.197 di «Sbirciarsi Dentro» si é soffermata sul significato dato ai termini: Inculturazione e acculturazione da parte di alcuni antropologi, soprattutto, statunitensi.
Il primo termine viene utilizzato per indicare il processo d’acquisizione della cultura che vige nella propria etnia mentre l'acculturazione é un processo d'interscambio tra due culture diverse.
In emigrazione, trovandoci in presenza di culture diverse, esistono tutte le prerogative di un interscambio.
La posizione di privilegio di una componente sull'altra, di solito non può, metaforicamente, farci pensare alle tradizionali leggi fisiche dei vasi comunicanti.
A tale scopo, lo studio citato sopra, rileva che i modelli d’acculturazione dipendono tra l'altro dalla politica sull'emigrazione adottata dagli Stati, dal modo di percepire l'emigrazione da parte della comunità ospitante e dall'orientamento d'acculturazione alla quale gli immigrati si sentono più predisposti in quel determinato contesto.
Di solito, in questi casi c'è sempre una cultura dominante su un'altra subalterna.
« La concordanza o meno di profili d’acculturazione tra società ospitante e immigrati determina relazioni intercomunitarie più o meno armoniose, problematiche o conflittuali ».
Nel modello d'acculturazione di Berry sono espressi quattro orientamenti: l'integrazione, l'assimilazione, la separazione e la marginalità »
a) integrazione = mantenimento della cultura d'origine con possibilità d'interscambio culturale;
b) assimilazione = abbandono della propria cultura d'origine in favore di quella della comunità ospitante ;
c) separazione = mantenimento della cultura d'origine, disinteressandosi a quella del luogo e tanto meno influenzarla ;
d) marginalità = l'emigrato non ha spazio nella società ospitante ed oltre a non aver accesso alla cultura del luogo deve spogliarsi anche della
propria.
Lo studio fatto in Svizzera sul modello d'acculturazione interattiva (MAI), al suddetto modello aggiunge un quinto orientamento che viene definito « l'individualismo ».
Gli individualisti non si sentono legati né al gruppo di origine e nemmeno a quello di accoglienza.
Essi rigettano una percezione di categoria, valutano l'individuo come persona unica, per quella che è la loro personalità e per i loro meriti.
Rivedendo questi orientamenti, ci si potrà rendere conto che talvolta, se non spesso, gli interessi delle comunità non coincidono rendendo le loro relazioni problematiche o conflittuali.
Gli antropologi hanno tentato di tradurre l'opposizione suscitata presso coloro che subiscono « Nessuna acculturazione è senza costrizione...Nell'incontro e nel confronto tra gruppi sociali e culturali differenti non c'è solo da tenere in conto l'alterità, la differenza ma anche la disuguaglianza o l'uguaglianza dei rapporti tra i gruppi che s’incontrano….»
“Si dice ‘classi ponte’, ma si legge ‘classi ghetto’?
La risposta é sospesa nel vento.
Io concludo sperando che iniziative come quella odierna, portino, soprattutto in Italia, ad una maggiore riflessione sulla problematica dell’emigrazione affinché, il nostro Paese, curato dalla “grande amnesia”, riacquisti la memoria storica.
Non potrà far a meno di confrontarsi con la realtà quotidiana: quella della coabitazione, più o meno forzata, con gli ospiti, figli di terre povere; ma, forse, data la lontananza spaziale o temporale, non ricorda che molti dei suoi figli, per sfuggire alla povertà, sono andati altrove.
“Si dice ‘classi ponte’, ma si legge ‘classi ghetto’.
Questa é l’asserzione dell’editoriale della rivista Famiglia Cristiana contro la proposta leghista d’istituire classi d’attesa per i figli degli immigrati.
Ancor oggi in Italia esiste dunque una problematica dell’emigrazione anche se diversa da quella di qualche decennio fa o del secolo scorso.
Chi é l’emigrato? Perché si emigra? Dove si emigra?
Il soggetto, la causa e l’aspirazione, il luogo di partenza e d’arrivo, in genere, hanno conservato accezioni simili nel tempo.
Formulando una semplice frase si ottiene: un individuo che é nel bisogno per migliorare la propria situazione lascia il luogo dell’indigenza alla ricerca di un altro che gli assicuri un avvenire migliore.
Ogni individuo reagisce in maniera del tutto personale ad ogni sollecitazione o avvenimento. Anche quando deve ripiantare la propria esistenza in un contesto diverso da quello d’origine.
Anche se gli elementi sono comuni, non sempre hanno la stessa valenza. La reazione individuale può essere molto diversa. Se ciascun individuo ha una storia, anche ogni singolo emigrante ha la propria; non esiste, dunque una storia dell’emigrazione ma tante.
Chi fugge dalla miseria, dalla schiavitù o dalla guerra va all’avventura con la convinzione di trovare un mondo migliore di quello lasciato. Nel luogo d’approdo, la sofferenza é giustificata dalla speranza. Talvolta il bisogno più elementare, che é quello della sopravvivenza, fa soprassedere su altri altrettanto fondamentali, purtroppo, talora, anche su quello della dignità. Avvoltoi approfittano del bisogno della gente schiavizzandola.
La recessione economica mondiale che imperversa in questo momento colpirà tutte le classi sociali; sicuramente inciderà moltissimo su quelle più deboli e potrebbe risultare drammatica per gli immigrati. Per quest’ultimi non inciderà soltanto sulla loro qualità di vita ma potrebbe determinare l’espulsione se non rientra nei parametri per il mantenimento del permesso di soggiorno. Inoltre se ad ogni evento poco favorevole si deve ricercare la causa e dare la colpa a qualcuno, l’emigrante diviene il parafulmine d’ogni intemperie, il capro espiatorio, l’agnello sacrificale.
Si parte con lo scopo di diventare qualcuno ma spesso non si é nessuno né nel paese d’origine né in quello d’accoglienza. Questo é dovuto al fatto di “Tenere il piede in due scarpe (il piede in due staffe) Être assi entre deux chaises”; comportarsi in modo dubbioso, cercando di mantenere aperte due strade, non scegliere in modo deciso. Il desiderio che spinge a vivere contemporaneamente in due mondi spesso non consente di vivere in alcuno dei due.
Potrebbe accadere che si diventa qualcuno nel paese d’accoglienza ed essere nessuno nel paese d’origine (essere talvolta un estraneo, un indesiderato).
In questo caso calza bene l’espressione latina: “Nemo propheta in patria (sua)”; usata ancor oggi per definire la sorte di coloro che vedono il proprio operato non apprezzato da chi sta più vicino: familiari, colleghi, amici.
Per l’emigrato, comune, é più attinente l’analogia con una moneta.
Riflessione da me fatta a p.134 di «Sbirciarsi Dentro » che cercherò di riassumere brevemente.
Un individuo lasciando la propria terra é un emigrato. Diventa un immigrato non appena mette i piedi nel Paese d’accoglienza. La stessa persona assume due aspetti diversi e, a secondo da quale lato viene guardato, può essere un emigrato o un immigrato.
Quest’individuo, nella sua duplicità, potrebbe essere comparato ad una moneta.
Questa presenta due facce diverse pur avendo un unico valore anche quando viene rivalutata o svalutata.
Anche il soggetto immigrato/emigrato ha un unico valore intrinseco.
Tra moneta ed individuo c’é un’evidente differenza: alla prima viene riconosciuto lo stesso valore, indipendentemente dalla faccia (testa o croce) presentata; il secondo esprime un valore diverso a secondo se viene considerato l'aspetto di emigrato o d’immigrato.
L'emigrato/immigrato ha un’evoluzione opposta ossia i due aspetti sono inversamente proporzionali: quando uno si rivaluta l'altro tende a svalutarsi.
L'immigrato inizialmente é una sagoma sprovvista di particolari connotati; potremmo immaginarlo come una persona vista di spalle. L'emigrato ha copiosi tratti somatici.
Col trascorrere del tempo i due aspetti vengono a modificarsi. Con la sua presenza, marca sempre più il piccolo mondo in cui vive ma pian piano la sua figura sbiadisce nel mondo in cui viveva.
L’emigrato é il passato mentre l’immigrato é il presente.
Ritornando all’asserzione di Famiglia Cristiana
“Si dice ‘classi ponte’, ma si legge ‘classi ghetto’,
si entra nella problematica delle Seconde generazioni d’emigrazione.
Anche su questo argomento ho fatto alcune riflessioni in «Sbirciarsi Dentro». Riassumerò quella relativa all’acculturazione subito dopo aver riportato alcune testimonianze dell’attualità.
Classi separate per alunni stranieri.
La proposta delle Lega Nord votata a maggioranza dalla Camera impegna il governo, fra l’altro, «a rivedere il sistema d’accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, previo superamento di test e specifiche prove di valutazione. Gli studenti stranieri che non superano le prove e i test sopra menzionati saranno obbligati a frequentare “classi-ponte” , dove vengono impartiti corsi di lingua italiana, propedeutiche all’ingresso degli studenti stranieri nelle classi permanenti; a non consentire in ogni caso ingressi nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, al fine di un razionale e agevole inserimento degli studenti stranieri nelle nostre scuole».
Per il capogruppo della Lega alla Camera, Roberto Cota la sua proposta va incontro ai bisogni dei bambini stranieri appena arrivati in Italia. Essa deve essere interpretata come “discriminazione transitoria positiva” che ha come obiettivo dichiarato la “riduzione dei rischi di esclusione”. Questo perché, ha spiegato Cota, se i ragazzi stranieri vengono inseriti in classe “per mere ragioni di età e non sulla base della preparazione”, c’è la possibilità “di rallentamenti e difficoltà per gli altri alunni”. Per questo, il Carroccio propone di far iscrivere ai vari livelli della scuola dell’obbligo solo chi supera una prova d’ammissione. Altrimenti, c’è una classe “ponte” in cui seguire, oltre ai corsi di lingua, lezioni mirate “all’educazione alla legalità e alla cittadinanza; al sostegno alla vita democratica; al rispetto delle tradizioni territoriali e regionali e della diversità morale e la cultura religiosa del paese accogliente”.
Per Famiglia Cristiana la discriminazione di cui faceva cenno l’autore dell’emendamento é semplicemente una discriminazione anzi “il primo provvedimento razziale del Parlamento”. Ovvero: l’istituzione di “classi-ghetto” che fanno scivolare “pericolosamente la scuola verso la segregazione e la discriminazione (...) Il problema dell’inserimento degli stranieri a scuola è reale, ma le risposte sono ‘criptorazziste’, non d’integrazione”. Si danno “risposte sbagliate a problemi reali d’inserimento”, dichiara famiglia cristiana e “la questione dell’italiano è solo una scusa: tutti sanno”, si legge nell’editoriale, “che le cosiddette ‘classi d’inserimento’ non sono efficaci. I risultati migliori si ottengono con classi ordinarie e con ore settimanali di insegnamento della lingua”.
La mia riflessione in materia d’acculturazione fatta a pag.197 di «Sbirciarsi Dentro» si é soffermata sul significato dato ai termini: Inculturazione e acculturazione da parte di alcuni antropologi, soprattutto, statunitensi.
Il primo termine viene utilizzato per indicare il processo d’acquisizione della cultura che vige nella propria etnia mentre l'acculturazione é un processo d'interscambio tra due culture diverse.
In emigrazione, trovandoci in presenza di culture diverse, esistono tutte le prerogative di un interscambio.
La posizione di privilegio di una componente sull'altra, di solito non può, metaforicamente, farci pensare alle tradizionali leggi fisiche dei vasi comunicanti.
A tale scopo, lo studio citato sopra, rileva che i modelli d’acculturazione dipendono tra l'altro dalla politica sull'emigrazione adottata dagli Stati, dal modo di percepire l'emigrazione da parte della comunità ospitante e dall'orientamento d'acculturazione alla quale gli immigrati si sentono più predisposti in quel determinato contesto.
Di solito, in questi casi c'è sempre una cultura dominante su un'altra subalterna.
« La concordanza o meno di profili d’acculturazione tra società ospitante e immigrati determina relazioni intercomunitarie più o meno armoniose, problematiche o conflittuali ».
Nel modello d'acculturazione di Berry sono espressi quattro orientamenti: l'integrazione, l'assimilazione, la separazione e la marginalità »
a) integrazione = mantenimento della cultura d'origine con possibilità d'interscambio culturale;
b) assimilazione = abbandono della propria cultura d'origine in favore di quella della comunità ospitante ;
c) separazione = mantenimento della cultura d'origine, disinteressandosi a quella del luogo e tanto meno influenzarla ;
d) marginalità = l'emigrato non ha spazio nella società ospitante ed oltre a non aver accesso alla cultura del luogo deve spogliarsi anche della
propria.
Lo studio fatto in Svizzera sul modello d'acculturazione interattiva (MAI), al suddetto modello aggiunge un quinto orientamento che viene definito « l'individualismo ».
Gli individualisti non si sentono legati né al gruppo di origine e nemmeno a quello di accoglienza.
Essi rigettano una percezione di categoria, valutano l'individuo come persona unica, per quella che è la loro personalità e per i loro meriti.
Rivedendo questi orientamenti, ci si potrà rendere conto che talvolta, se non spesso, gli interessi delle comunità non coincidono rendendo le loro relazioni problematiche o conflittuali.
Gli antropologi hanno tentato di tradurre l'opposizione suscitata presso coloro che subiscono « Nessuna acculturazione è senza costrizione...Nell'incontro e nel confronto tra gruppi sociali e culturali differenti non c'è solo da tenere in conto l'alterità, la differenza ma anche la disuguaglianza o l'uguaglianza dei rapporti tra i gruppi che s’incontrano….»
“Si dice ‘classi ponte’, ma si legge ‘classi ghetto’?
La risposta é sospesa nel vento.
Io concludo sperando che iniziative come quella odierna, portino, soprattutto in Italia, ad una maggiore riflessione sulla problematica dell’emigrazione affinché, il nostro Paese, curato dalla “grande amnesia”, riacquisti la memoria storica.
Non potrà far a meno di confrontarsi con la realtà quotidiana: quella della coabitazione, più o meno forzata, con gli ospiti, figli di terre povere; ma, forse, data la lontananza spaziale o temporale, non ricorda che molti dei suoi figli, per sfuggire alla povertà, sono andati altrove.
Antonino Carmelo Scifo
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