mardi 13 août 2013
57° Anniversario della Tragedia di Marcinelle
Commemorazione del 57° Anniversario della Tragedia di Marcinelle
La Presidente della Camera dei Deputati al “Bois du Cazier”.
L’onorevole Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati, con la sua presenza al sito del “Bois![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidwjghi3TeipobQe0ZzPcxQ1zS1aktT3K4tFkJAWLz7G6pvslgZBZeiDIMOMnKken_PjqWMrQUgsJSJ_0XDd9czsx6Na4gaEtYakob9ukSP2isP5h7mjYgqicewzI00iLCCtdjGOl1Tto/s320/DSC03488.JPG)
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du Cazier “ di Marcinelle nel giorno del 57° anniversario della tragedia ha palesato la sua sensibilità alla problematica della gente che, per ragioni diverse, è costretta a lasciare la propria terra.
Dopo l’ossequio, la tradizionale deposizione di fiori, e il raccoglimento presso i monumenti dedicati “Ai Minatori” e “Al Sacrificio dei Minatori italiani”, eretti nel cimitero prossimo al sito, e al “Monumento alle Vittime” della tragedia, situato all’interno del sito, il corteo è convenuto nella “Salle des Forges” per i tradizionali messaggi delle autorità.
Sono presenti alcuni parlamentari italiani, eletti nella Circoscrizione Estero, il Vice Ministro degli Esteri con delega per gli italiani all’estero Bruno Archi, alcuni rappresentanti politici belgi, tra i quali il Presidente della Camera dei Deputati, Signor André Flahaut e la Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini.
Dopo l’intervento dell’ambasciatore d’Italia in Belgio, dott. Alfredo Bastianelli che legge il messaggio del Presidente della Repubblica Italiana e del Vice Ministro degli Esteri, on. Bruno Archi, che riporta il messaggio della Ministra degli Esteri, on. Emma Bonino, prende la parola la Presidente della Camera dei Deputati, on. Laura Boldrini.
Inizia il discorso ringraziando i presenti e proponendosi di fare una riflessione sulla tragedia consumatasi in quel luogo cinquantasette anni prima. Quel giorno è stata scritta una pagina di cui ricavare molteplici insegnamenti:
-“Una pagina che oggi, a distanza di cinquantasette anni, ci ricorda molte cose.
Ci ricorda, innanzitutto, chi eravamo noi italiani fino a qualche decennio fa ...”
Per sfuggire alla povertà, quando non era miseria, tanta gente ha dovuto patire il dolore e conoscere l’umiliazione dell’emigrazione.
Nel sottolineare che l’Italia è un paese dove l’emigrazione non è un fenomeno sociale trascurabile afferma:
- “Nel corso di poco più di un secolo, dall'unità d'Italia al 1985, si stima che ventinove milioni di persone abbiano lasciato l'Italia...
Molti di questi fecero ritorno ma tanti altri non sono più tornati scegliendo di costruire il proprio futuro in una terra diversa, una terra nuova.”
Sottolinea il contributo che con il loro lavoro gli emigrati italiani hanno dato ai Paesi d’accoglienza.
Per sottolineare la mobilità sociale della nostra comunità prende ad esempio il Belgio:
-“ Tra i figli e i nipoti di quei minatori degli anni quaranta e cinquanta che si riversarono in Vallonia alla ricerca di una vita migliore oggi ci sono importanti esponenti politici. Oggi i nipoti di quei minatori sono imprenditori, sono accademici, sono grandi personalità.” Come esempio di tale mobilità sociale cita Elio DI Rupo, attuale Primo Ministro Belga.
Anche se non lo dice, dalle parole e dal tono della voce, si sottintende che non sempre lo Stato è leale verso i cittadini. Non lo dice ma si sottintende che il contratto del 1946 tra Italia e Belgio è stato un mero contratto economico dove la componente umana è stata considerata merce di scambio. Cita il “Manifesto Rosa” come emblema dell’inganno: -“OPERAI ITALIANI Condizioni particolarmente vantaggiose vi sono offerte per il LAVORO SOTTERRANEO nelle MINIERE BELGHE”. “Approfittate degli speciali vantaggi che il BELGIO accorda ai suoi minatori.
Il viaggio dall’Italia al Belgio è completamente gratuito per i lavoratori italiani, firmatari di un contratto annuale di lavoro per le miniere.
Il viaggio dall’Italia al Belgio dura in ferrovia solo 18 ore
Compiute le semplici formalità d’uso, la vostra famiglia potrà raggiungervi in Belgio.(...) La realtà, come voi ben sapete (...) era molto diversa da quell’annuncio...Questi Italiani affrontavano il viaggio in condizioni difficilissime, stipati nei treni per giorni, non diciotto ore di viaggio. Al loro arrivo i lavoratori erano destinati alle famigerate ‘Cantines’, le baracche dove venivano ammassati.”
La Presidente elenca alcune delle condizioni cui l’emigrato doveva sottoporsi quotidianamente e che “i manifesti rosa” non avevano citato o avevano descritto diversamente.
Condizioni di vita che sono realtà di vita vissuta di molti dei presenti.
Emarginazione e xenofobia complicavano la già dura vita dell’emigrato.
Alcuni di questi atteggiamenti, non certo lodevoli, li ritroviamo, oggi, in Italia e sono rivolti alla gente che chiede la nostra ospitalità:
- “ Questo in barba alle nostre leggi e in barba alla nostra storia.
Una storia che scegliamo d’ignorare, definendo l’emigrazione nel nostro Paese come emergenza mentre sappiamo benissimo che si tratta a tutti gli effetti di un fenomeno strutturale.”
A questo punto del discorso le sue parole danno alla nostra emigrazione la componente pedagogica a lei dovuta spesso ignorata o poco apprezzata:
- “Una storia che scegliamo di ignorare decidendo di non vedere, in quei migranti stremati che arrivano a Lampedusa, i volti dei nostri padri che partirono per Marcinelle, i loro stessi occhi..”
In questo passaggio del discorso, oltre alla sensibilità, notiamo nell’oratrice competenza derivante dalle sue precedenti esperienze professionali.
Fa notare che questa gente che assicura numerosa manodopera ai nostri cantieri edili o all’agricoltura spesso è ospitata in condizioni peggiori di quelle riservate ai nostri connazionali qualche decennio fa.
Cita alcuni luoghi da lei visitati dove questa penosa è realtà è di casa: Rosarno, Castel Volturno, Torino, periferie romane.
La miopia nel ponderare tale fenomeno e il relativo atteggiamento per chi chiede ospitalità, secondo la Presidente Boldrini, derivano soprattutto dal fatto che: -“non si è coltivata a sufficienza la memoria.
La memoria che ci ricorda eventi drammatici e momenti cui invece dovremmo ispirarci.
La memoria che deve servire da guida per noi e per i nostri figli, per i quali va custodita ed ai quali va trasmessa con orgoglio e a testa alta. Dobbiamo essere orgogliosi del nostro passato, perché ci ha portato ad un presente grandioso. Voi dovete essere orgogliosi della vostra storia, di quello che avete fatto, e noi con voi.”
Nell’analisi di quella pagina di storia non sfugge all’onorevole Boldrini l’atmosfera d’ansia che s’instaurava nelle famiglie dei minatori: la paura di una disgrazia in miniera.
Paura motivata dall’estrema pericolosità del lavoro derivante dalla poca attenzione alla sicurezza e dalle infrastrutture datate e poco adeguate e ai turni massacranti ai quali erano sottoposti i minatori.
Ricorda che nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, i minatori italiani morti in miniera non sono stati soltanto quelli periti in quel luogo. In Belgio, le vittime di quel lavoro furono molte centinaia.
Ribadisce il concetto che a portare la morte nei luoghi di lavoro spesso è la scarsa sicurezza, la limitata tutela.
- “Quel giorno, cinquantasette anni fa, 262 persone morirono asfissiate, arse vive, persino affogate dall'acqua che veniva gettata nelle gallerie per domare l'incendio che causò la tragedia.
Morirono di lavoro e per il lavoro. Morirono perché quel lavoro non era tutelato. E morirono due volte, perché ai loro cari non fu assicurata piena giustizia per quanto accaduto.
Come morirono due volte i tanti nostri connazionali colpiti da malattie e da patologie collegate al lavoro nelle miniere tra cui sicuramente la silicosi che per molto tempo non fu riconosciuta come malattia professionale.”
Come succede spesso, si aspetta la tragedia per prendere i provvedimenti adeguati per rendere cautelare la vita del lavoratore sul posto di lavoro.
Si aspetta la tragedia per scoprire un individuo, un soggetto sociale dentro una tuta di lavoro.
- “Dopo Marcinelle, dopo quella terribile tragedia, le miniere più pericolose vennero chiuse, le condizioni di sicurezza migliorarono, seppur non nell'immediato, e gli italiani - poco a poco - conquistarono diritti sociali e politici, trasformandosi da 'musi neri' in membri a tutti gli effetti della società belga.”
In Belgio come altrove, i lavoratori italiani ebbero un ruolo importante nelle grandi battaglie sindacali per i diritti di tutti i lavoratori, dimostrandosi "uomini", e non mere "braccia", come ebbe a dire il grande intellettuale svizzero Max Frisch. "Volevamo braccia, sono arrivati uomini".
Riportando lo sguardo ai nostri giorni, all’attualità, è chiaro a chi si riferisce quando afferma che: - “C'è chi dice - oggi, nel 2013, dopo oltre un secolo di battaglie sindacali - che "di soli diritti si muore". Lo si è sostenuto di recente. Nonostante il fatto che si continui invece a perdere la vita per la mancanza o per la sistematica erosione di diritti e tutele.”
Dalle sue parole si evince chiaramente il concetto che la globalizzazione, il libero scambio, le regole del mercato globale tendono a sottrarre diritti causando la morte.
- “ I minatori cinesi muoiono a migliaia, ogni anno - le stime parlano di 1.300 nel solo 2012 - a causa di incendi, esplosioni e crolli. Quasi esattamente un anno fa, a Marikana, in Sud Africa, trentaquattro minatori che reclamavano salari più dignitosi sono stati uccisi a colpi di armi da fuoco dalle forze dell'ordine.
Ed il lavoro senza tutele uccide anche laddove si svolge in luoghi che dovrebbero essere meno pericolosi delle viscere della terra. Uccide nelle fabbriche tessili del Sud-Est asiatico, dove l'immane tragedia del Rana Plaza, a Dacca, ha causato solo pochi mesi fa la morte di oltre 1.100 persone. Uccide, purtroppo e ancora, nei cantieri e nelle fabbriche italiane, dove gli incidenti sono spesso mortali.
Calandosi ancor di più nella triste realtà del nostro Paese, afferma: - “ E ad uccidere in Italia, negli ultimi tempi, è anche la disperazione dovuta alla mancanza di lavoro e di quella rete di protezione sociale che lo Stato dovrebbe garantire. Come ci impone la nostra Costituzione.”
Riflettendo sulla pagina di storia scritta in quel luogo, l’otto agosto del 1956, le vittime di quella tragedia –“ ci rivolgono un monito a non riprodurre schemi basati su esclusione e sfruttamento. Schemi che il Belgio ha superato da decenni, accogliendo milioni di migranti e rendendoli fieri di essere cittadini di questo Paese.”
La suddetta frase richiama la nostra attenzione al dibattito di questi giorni sulla problematica dell’immigrazione e al diritto di cittadinanza delle persone che vivono e operano nel nostro Paese.
Dalle sue parole si evince che la politica dell’immigrazione italiana non sempre è stata guidata da una chiara visione della realtà ma condizionata da stereotipi o interessi elettorali: - “ E nel 2011, per la prima volta da decenni, il saldo migratorio dell'Italia è stato negativo. Sono stati infatti più gli emigrati - italiani e stranieri residenti da anni in Italia - a partire che gli immigrati ad arrivare. Tutto ciò nonostante l'instabilità conseguente alle Primavere arabe ed a dispetto di quelle che, per anni, alcuni hanno definito invasioni di migranti sulle nostre coste”.
Nell’esaminare la recente ondata migratoria italiana soprattutto in direzione di Germania, Svizzera e Gran Bretagna, Paesi europei che offrono più possibilità di lavoro, afferma che i giovani che lasciano il nostro Paese non subiscono alcuni aspetti dolorosi che invece subivano gli emigrati di qualche decennio fa. L’evoluzione dei media, della comunicazione e dei trasporti annulla le distanze permettendo di mantenere il contatto con il mondo che si lascia.
- “Eppure anche questi ragazzi, questi giovani uomini e queste giovani donne sanno - come sapete voi - cosa vuol dire vivere sospesi tra due culture. Sanno quanto sia positivo realizzare le proprie aspirazioni all'estero, ma anche quanto sia triste e doloroso sapere di non poter rientrare nel proprio Paese per mancanza di opportunità”.
La Presidente Boldrini s’insinua nel più profondo dell’intimo di chi lascia il proprio Paese cogliendone un sentimento profondo: - “ Sanno cosa vuol dire amare la propria terra d'origine anche quando si sono piantate radici altrove”.
Sa che l’emigrato si sente un po’ l’ambasciatore del proprio Paese: - “ Sanno quanto sia importante essere fieri del proprio Paese ed anche di chi lo rappresenta nelle istituzioni.”
In questo momento storico- si chiede chi ascolta, a parte le bellezze naturali e le vestigia di un passato che bistrattiamo, di che cosa si può essere fieri?
L’Onorevole Boldrini sprona a ritrovare l’orgoglio affinché il nostro Paese esca dalla precarietà attuale e riacquisti il suo posto nel contesto mondiale ed europeo.
Sprona a ritrovare quella determinazione che: -“ ha contribuito a fare dell'Italia uno dei pilastri dell'Europa unita. Quella stessa Europa che di fatto cominciò a nascere anche qui nelle miniere, dove i lavoratori provenivano da tanti Paesi diversi. Quella Europa che oggi permette ai nostri figli di viaggiare e di vivere negli altri Stati del continente in condizioni ben diverse da quelle dei minatori di Marcinelle.
Un'Europa che dobbiamo rafforzare e rilanciare. Un'Europa - intesa come progetto politico collettivo - in cui dobbiamo tornare a credere. Un'Europa coesa e solidale come l'avevano immaginata i padri fondatori. Un'Europa basata non solo sulle misure di austerità in campo economico, sui pareggi di bilancio, ma anche sui diritti e le tutele. Su quella Europa dobbiamo investire”.
La realizzazione del progetto di questa Europa non è solo un anelito di vita migliore ma la prosecuzione del lavoro intrapreso dalle generazioni precedenti, ai loro sacrifici. – “Lo dobbiamo ai morti del Bois du Cazier, alle loro famiglie e ai lavoratori che hanno trascorso la loro vita nel buio delle miniere cercando di assicurare un futuro migliore per sé e per i propri figli. A quegli uomini che, con il loro sacrificio, hanno contribuito a dare più dignità al lavoro ed a garantire maggiori tutele per tutti noi oggi”.
vendredi 17 mai 2013
Grazie nonno
"GRAZIE NONNO"
DI ANTONINO CARMELO SCIFO
Lunedì 13 Maggio 2013 14:59
CHARLEROI\ aise\ - Venerdì 10 maggio 2013 presso la Caserne Trésignies di Charleroi, in presenza di un folto e interessato pubblico, ha avuto luogo la presentazione del libro "Grazie nonno" di Antonino Carmelo Scifo.
Relatori del libro sono stati Luciana Rizzo, insegnante nei corsi del Comitato della Dante Alighieri, e Salvatore Cacciatore, presidente del Comites di Charleroi.
Luciana Rizzo ha ricordato che l’autore, oltre a questo, ha scritto altri quattro libri: ne ha citato uno e non a caso, "Dal Corso ai Corsi", perché, come Antonino ed altri insegnanti presenti in sala da lei definiti della "Vecchia Squadra", anche Rizzo è stata insegnante nei corsi di italiano nello stesso periodo, quello in cui, ha raccontato, era compito di quegli insegnanti: integrarsi ed integrare; farsi accettare e far accettare; insegnare e non far dimenticare la nostra bella lingua e cultura italiana.
Rizzo ha, poi, parlato del libro "Grazie Nonno" un saggio filosofico- sociale, ricco di insegnamenti e riflessioni sul valore della vita, sull’importanza della parola e del saper ascoltare. L’autore, ha proseguito, servendosi di alcune filastrocche, metafore e aneddoti, sottolinea come certi comportamenti sociali, qualche tempo prima considerati non conformi all’etica, siano oggi tollerati e talvolta anche consigliati: la vanità, la cupidigia, l’idolatria, l’indifferenza.
Le problematiche sociali, inizialmente al centro della scena, cedono mano mano il passo a problemi esistenziali. (aise)
mardi 19 février 2013
Grazie nonno
Grazie nonno
di Antonino Carmelo Scifo
Prezzo di vendita € 10,00
Prezzo di copertina € 13
Isbn: 9788891039392
Narrativa
1a edizione 2/2013
Formato 15x23 - Copertina Morbida - bianco e nero
160 pagine
Presentazione
Tra nonno e nipote s'instaura un rapporto di complicità. S'intuisce l'aspirazione di chi non desidera vanificare con la propria fine ciò che ha attinto dalla vita, individuando la continuità dell'esistenza nella memoria della giovane generazione. Per chi si affaccia alla vita è chiaro il desiderio di spiccare il volo nel cielo dell'avvenire, utilizzando l'amore del nonno come pedana di lancio. L'anziano sembra sovrastare la scena ma, con la sua presenza, il giovane la valorizza.
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